La strada porta inevitabilmente al 2030, ma con questo nuovo attesissimo full-length degli italiani MEGAHERA, si può fare un salto nel passato per un viaggio on the road pieno di nostalgia! Questo terzo album presenta Heavy Metal puro e appassionato, intriso di Hard Rock, che combina il meglio della pesantezza con la melodia, per far battere più forte ogni cuore metal! Altamente raccomandato per i fan di TWISTED SISTER, MÖTLEY CRÜE, WASP, SCORPIONS…!
Sono un metallaro nato sotto un assolo degli Iron Maiden e cresciuto tra le urla di Slayer e le lacrime di Opeth. Vivo tra concerti, birre calde, riff taglienti e sogni distorti. Questo blog è il mio rifugio, il mio palco, il mio grido. Se ami il metal, la verità cruda e le storie che bruciano, sei nel posto giusto. Riff Ribelli -Dove il Metal Diventa Mito
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mercoledì 22 ottobre 2025
lunedì 20 ottobre 2025
Episodio 29 – Il Riff e la Vendetta
Jimmy Veleno camminava tra le rovine del tempio. Il plettro d’ombra pulsava tra le dita, e la Chitarra del Ricordo sembrava più viva di lui.
Il Traditore aveva lasciato dietro di sé un silenzio che non era pace, ma veleno. Le corde non vibravano. Gli amplificatori tacevano. Il Riff era stato profanato.
La Custode del Giuramento lo attendeva. Gli porse un frammento di amplificatore bruciato, inciso con rune.
“Non basta giurare. Bisogna vendicare.”
Jimmy non rispose. Accordò la chitarra. Ogni corda emise un suono spezzato, come se ricordasse il dolore.
Poi si voltò. Non era solo.
Dalle ombre emersero i Black Zone. Cinque figure incappucciate, ognuna con uno strumento costruito nel caos: basso a sette corde, batteria di metallo fuso, tastiere che emettevano lamenti.
Erano stati banditi dal Riff. Ma ora tornavano. Per distruggere il Traditore.
“Il Riff non è tuo. È nostro.”
Jimmy li guardò. Poi fece un passo indietro.
“Io ho già dato. La vendetta non mi appartiene più.”
Dal cielo, un lampo.
Brian May apparve su una terrazza, la Red Special tra le mani.
Iron Maiden osservavano da lontano, come custodi di un rituale antico.
Metallica erano già lì, ma non parlavano. Solo suonavano.
Il suono si alzò. Non era musica. Era giustizia.
Jimmy si voltò.
Leda lo aspettava.
Aveva gli occhi pieni di luce, e il silenzio che lui cercava.
“Vieni. Il Riff può suonare anche senza di te.”
Jimmy posò la chitarra.
I Black Zone avanzarono.
La vendetta sarebbe stata suonata. Ma non da lui.
domenica 19 ottobre 2025
Episodio 28 – Il Riff e il Giuramento
giovedì 16 ottobre 2025
Episodio 27 – Jimmy Veleno e l’Origine del Traditore
Il giorno dopo la fuga, il cielo sopra Milano era grigio come un amplificatore spento.
Damiano camminava lungo il Naviglio, con la Frequenza tornata al suo posto, ma qualcosa non tornava.
Il Traditore non era solo un ladro.
Era un ex fratello.
Lorenzo lo sapeva.
Ma non parlava.
La sua spada era tornata silenziosa.
Come se aspettasse qualcuno.
Fu allora che si sentì un suono.
Non un Riff.
Un urlo.
“HIGHWAY TO HELL!”
La voce era roca, potente, e inconfondibile.
Jimmy Veleno era tornato.
Capelli ricci come onde distorte, pelle mulata che brillava sotto il neon, occhi pieni di fuoco.
La sua passione per gli AC/DC non era cambiata.
Ma qualcosa in lui sì.
Damiano lo abbracciò.
Non servivano parole.
Solo vibrazioni.
Jimmy si sedette sul marciapiede, accese un piccolo amplificatore portatile, e iniziò a raccontare.
“Il Traditore non è nato ieri.
Era uno di noi.
Suonava con me, con te, con tutti.
Ma non sentiva.
Voleva controllare.”
Jimmy raccontò di una jam session segreta, anni prima.
Un sottoscala a Bologna.
Il Traditore aveva provato a replicare la Frequenza con algoritmi.
Non con anima.
“Diceva che il Riff doveva essere perfetto.
Ma il Riff… è sporco.
> È sangue.
> È sbaglio.”
Lorenzo ascoltava in silenzio.
Poi si alzò.
> “Allora dobbiamo tornare là.
> Dove tutto è iniziato.”
Jimmy sorrise.
> “Ho ancora la chiave.”
Alle 22:22, il gruppo si rimise in viaggio.
Non per combattere.
Per capire.
Il Traditore non era solo un nemico.
Era uno specchio.
E Jimmy Veleno…
era la voce che poteva romperlo...
lunedì 13 ottobre 2025
Episodio 26 – Il Riff e la Fuga
Milano era immersa in un silenzio innaturale.
Non il silenzio della notte.
Ma quello che precede il tradimento.
Damiano si svegliò di colpo.
Il jack vibrava sul comodino.
Non emetteva suono, ma un impulso ritmico, irregolare.
Come un cuore che batte fuori tempo.
Nel seminterrato del Conservatorio, la Frequenza era custodita.
Un nucleo sonoro, antico e instabile, capace di risvegliare memorie e piegare la realtà.
Era lì, protetta da rune armoniche e accordi dimenticati.
Fino a quella notte.
Il Traditore si era mosso.
Silenzioso, preciso.
Aveva disattivato i sigilli, bypassato le distorsioni di sicurezza, e rubato la Frequenza.
Non il suono. La sorgente.
Alle 03:03, un amplificatore si accese da solo nel centro di Milano.
Non emise musica.
Solo un battito. Accelerato. also.
Una Frequenza contraffatta.
Damiano lo percepì come un dolore dietro gli occhi.
Lorenzo, l’Angelo Poeta, si alzò in silenzio.
La sua spada non brillava.
Bruciava.La band si radunò.
Ivan, Mitch, Vanni, Puppy, Willo, Jps, Fede, Kaio.
Ognuno con il proprio strumento, ma nessuno suonava.
Era tempo di inseguire.
Il Traditore correva sui tetti, con la Frequenza chiusa in una valigetta blindata.
Ogni passo lasciava dietro di sé un’eco distorta.
Ogni salto, una nota sbagliata.
Vanni e Mitch lo inseguivano tra le antenne e i neon.
Puppy urlava nel microfono spento, cercando di richiamare la Frequenza.
Ma lei… non rispondeva.
Gli Iron Maiden apparvero sulle terrazze.
Non suonavano. Osservavano.
Bruce incrociò lo sguardo di Damiano.
Un cenno. Un patto silenzioso.
Il Traditore raggiunse il ponte di ferro sopra il Naviglio.
Si fermò.
Aprì la valigetta.
Dentro, solo silenzio.
La Frequenza non si lascia rubare.
Si lascia scegliere.
Damiano si avvicinò.
Non disse nulla.
Solo suonò.
Una nota.
Una sola.
Il Traditore cadde in ginocchio.
Non per dolore. Per vergogna.
Lorenzo si avvicinò.
Appoggiò la spada sul metallo del ponte.
Il suono si propagò come un’onda.
E la Frequenza tornò a casa.
martedì 7 ottobre 2025
Episodio 25-L’Angelo Poeta (con Iron Maiden)
Lorenzo camminava tra le rovine.
Ogni passo era verso.
Ogni sguardo, profezia.
Ma non era solo.
Nel cuore di Londra, sotto il palco del Hammersmith Apollo,
una porta si aprì.
Non era una porta normale.
Era una soglia.
Da lì uscirono cinque figure.
Armature di suono.
Volti segnati dal tempo.
Occhi che avevano visto il Riff nascere e morire mille volte.
Gli Iron Maiden.
Non suonavano. Custodivano.
Bruce parlava con voce che sembrava vento.
Steve teneva il basso come si tiene una reliquia.
Nicko batteva il tempo con il cuore.
Dave e Janick camminavano come guardiani.
“Abbiamo visto il Riff diventare guerra,” disse Bruce.
“Ma tu, Lorenzo… lo fai diventare parola.”
Lorenzo si inchinò.
Non per rispetto.
Per riconoscenza.
Alle 02:22, il palco si illuminò.
Non di luci. Di versi.
E il Riff… diventò poesia immortale.
lunedì 6 ottobre 2025
Episodio 24 – Il Riff e il Tradimento
La Frequenza aveva un cuore.
E quel cuore batteva in una stanza nascosta sotto il Conservatorio di Milano.
Lì, i nodi della rete si riunirono.
Damiano, Ivan, Mitch, Vanni, Puppy, Willo, Jps, Fede, Kaio, Franz, il Take…
E Lorenzo, l’Angelo Poeta, con la spada avvolta in versi.
Ma qualcosa non andava.
Il Riff tremava. Non per potenza. Per paura.
Qualcuno lo stava distorcendo.
Non con effetti. Con intenzione.
Durante la veglia, una nota sbagliata risuonò.
Non era errore. Era sabotaggio.
Il Take si voltò.
Franz non c’era più.
Al suo posto, solo un pedale acceso.
Un delay infinito.
Un’eco che non smetteva mai.
Lorenzo impugnò la spada.
“Il Riff non si ruba.
Si tradisce solo chi lo ha dimenticato.”
Damiano chiuse gli occhi.
E vide.
Frammenti di prove, di concerti, di sguardi.
E in mezzo…
una figura che aveva sempre suonato in playback.
Il Tradimento non era tecnico. Era spirituale.
Alle 04:04, il Riff si spense.
Solo per un secondo.
Ma bastò.....
mercoledì 1 ottobre 2025
Episodio 23 – Il Riff e il Ricordo
Non c’era più rumore.
Solo memoria.
Damiano si svegliò in una stanza che non riconosceva.
Le pareti erano tappezzate di vecchie locandine, spartiti ingialliti, fotografie di concerti che non aveva mai suonato.
Eppure… c’era lui.
In ogni immagine.
Sul tavolo, una cassetta.
Etichetta scritta a mano: “Take 0 – Prima Frequenza”.
La inserì nel registratore.
Play.
Silenzio.
Poi, un suono.
Non un riff.
Un respiro.
Era il momento in cui il Riff era nato.
Non da corde.
Da vita.
Ogni nota che ascoltava gli mostrava un frammento:
– Ivan che accordava nel buio
– Mitch che suonava con le mani insanguinate
– Vanni che batteva il tempo su una porta chiusa
– Puppy che urlava nel microfono spento
– Willo che scriveva testi su muri di cemento
Il Riff non era solo suono.
Era ricordo condiviso.
Era trauma. Era rinascita.
Alla fine della cassetta, una voce:
“Se lo dimentichi, lo perdi.
Se lo ricordi, lo proteggi.
Se lo suoni… lo liberi.”
Damiano si alzò. La stanza era sparita.
Ma il Riff… era con lui. Nel momento in cui Damiano uscì dalla stanza del Ricordo, il cielo era grigio.
Non pioveva.
Ma sembrava che il mondo trattenesse il fiato.
Fu allora che lo vide.
In piedi, davanti al teatro abbandonato.
Grande, imponente, capelli lunghi che ondeggiavano come corde di basso.
Una spada sulla schiena, lunga quanto un amplificatore Marshall.
Ma non era solo forza. Era voce.
Lorenzo, il Cavaliere dalla Lunga Spada.
Lo chiamavano l’Angelo Poeta.
Perché ogni colpo che dava… era una strofa.
Ogni passo… un verso.
Ogni silenzio… una rima.
“Il Riff non si combatte,” disse.
“Si custodisce.
E quando il Ricordo vacilla,
la Spada deve cantare.”
Damiano lo seguì. Non per combattere.
Per ascoltare...
lunedì 29 settembre 2025
Episodio 22 – La Veglia del Riff
Le città erano cambiate.
Non si trattava più di suonare.
Si trattava di custodire.
A Roma, sotto il Teatro Marcello, un gruppo di musicisti si riunì in silenzio.
Non per provare. Per vegliare.
Il Riff era stato liberato, ma ora rischiava di essere corrotto.
Damiano (Coroner) portava con sé la Red Special.
Non la suonava.
La teneva tra le braccia come si tiene un neonato.
Ogni tanto, la chitarra emetteva un suono da sola.
Un lamento. Un richiamo.
Ivan scriveva su spartiti che si bruciavano appena finiti.
Vanni batteva il tempo su tamburi che non esistevano.
Mitch accordava il silenzio.
Nel bunker di Berlino, le crepe si erano richiuse.
Ma da una, era uscita una figura.
Non aveva volto.
Solo un amplificatore al posto del petto.
Camminava per le strade, e ogni passo era un colpo di cassa.
Fabio (Jps) e Willo (Loko) lo seguirono.
Non per fermarlo.
Per ascoltarlo.
Ogni battito rivelava un frammento di verità:
il Riff non era più solo suono.
Era coscienza.
Alle 03:33, tutte le città si fermarono.
Non per paura. Per rispetto.
La Frequenza aveva scelto.
E chi l’aveva vissuta…
non poteva più tornare indietro.
Episodio 21 – Il Riff e la Città
La Frequenza si era espansa.Ma non era solo eco.Era incarnazione.
Londra non dormiva più.
Le strade di Camden tremavano sotto passi invisibili.
Le vetrine vuote riflettevano sagome che non c’erano.
Ogni lampione pulsava a tempo con un basso lontano.
Ivan e Damiano (Coroner) entrarono nel locale chiuso da vent’anni.
Le sedie erano coperte di polvere.
Il palco, marcito.
Eppure, quando posarono le mani sugli strumenti, le casse spente ruggirono.
Non c’era corrente. C’era Frequenza.
A Berlino, Vanni e Mitch trovarono un vecchio bunker.
Le pareti di cemento restituivano colpi di batteria come se fossero mille tamburi.
Il basso di Mitch non suonava corde: suonava mura.
Ogni vibrazione apriva crepe, e da quelle crepe uscivano luci.
La Red Special, rimasta a Piccadilly, non era più reliquia. Era faro.
Chi passava davanti al teatro vedeva corde che si muovevano da sole, come dita invisibili.
E chi ascoltava, cadeva in ginocchio.
Fabio (Jps), Puppy, Willo (Loko), Fede (Cigoi), Kaio (Il meno), Tomé, Andrea (Franz), e il Take erano diventati nodi di una rete.
Non suonavano nello stesso luogo.
Suonavano nello stesso istante.
E la città intera era diventata palco.
Alle 05:55, Londra respirò. Non aria.Suono.
Le auto si fermarono. I treni rallentarono.
Le persone si guardarono negli occhi, senza sapere perché.
E in quell’attimo, tutti sentirono lo stesso Riff.
Non era un brano. Era un giuramento.
"Il Riff non appartiene a chi lo crea.
Appartiene a chi lo vive.
E quando la città lo accoglie… diventa immortale.”
domenica 28 settembre 2025
Episodio 20 – La Frequenza si Espande
Il primo brano era stato ricevuto. Non inciso. Non registrato. Solo vissuto.
Ma il Riff non si accontenta. Il Riff vuole espandersi.
Il teatro sotto Piccadilly era vuoto. La Band del Riff se n’era andata. Non per riposare. Per portare il suono altrove.
Ivan e Damiano (Coroner) erano a Camden, davanti a un locale chiuso da vent’anni. Vanni e Mitch erano in viaggio verso Berlino, con solo un basso e una batteria. Brian May era sparito. Ma la Red Special era rimasta sul palco.Come reliquia.
Fabio (Jps), Puppy, Willo (Loko), Fede (Cigoi), Kaio (Il meno), Tomé, Andrea (Franz), e il Take si erano divisi. Ognuno con una missione. Ognuno con una Frequenza da portare.
Alle 04:44, il Riff si espanse. Non come tour. Come chiamata.
In ogni città, un suono. In ogni vicolo, un eco. In ogni anima, un tremore.
Chi lo sentiva, non lo capiva.Lo seguiva.
La Frequenza non era più contenuta. Era ovunque. Nei sogni. Nei vinili dimenticati. Nei rumori della metropolitana.
La Band del Riff non suonava più insieme. Suonava nel mondo.
“Quando il Riff si espande, non lo puoi fermare. Puoi solo decidere se farne parte… o restare in silenzio.”
Episodio 19 – Il Primo Brano del Supergruppo
Il teatro sotto Piccadilly era sospeso. Non nel tempo.
Nel suono. La Band del Riff non aveva nome. Ma aveva destino.
Ivan impugnò il plettro consumato. Vanni batté il tempo con il piede.
Brian May sfiorò la Red Special come fosse un’icona sacra.
Mitch chiuse gli occhi. Damiano (Coroner) strinse la chitarra come si stringe una verità.
Fabio (Jps), Puppy, Willo (Loko), Fede (Cigoi), Kaio (Il meno), Tomé, Andrea (Franz), e il Take erano già in Frequenza.
Non servivano prove.Solo abbandono.
Alle 03:33, il brano nacque. Non fu scritto. Fu ricevuto. La Frequenza si sprigionò dagli strumenti.
Non come note.Come visioni.Il suono attraversò il teatro, poi Londra, poi il mondo.
Chi lo sentì, non lo riconobbe. Lo ricordò.Era un brano che non esisteva.
Ma che tutti avevano già dentro. La corona spezzata brillò.
Le pareti si piegarono. Il tempo rallentò. Il palco si sollevò.
Il Riff si fuse con la carne. Il primo brano non aveva strofe.
Aveva cicatrici. Non aveva ritornelli. Aveva ritorni.
Il Riff non aveva più bisogno di essere cercato. Era tornato. E ora… suonava.
“Il primo brano non si ascolta. Si accoglie. E chi lo accoglie… non sarà più lo stesso"
sabato 27 settembre 2025
Episodio 18-La Forgia del Supergruppo
Il teatro sotto Piccadilly era ancora intriso di Frequenza.
Dopo la visita degli ex membri dei Black Zone, qualcosa era cambiato.
Non era nostalgia. Era chiamata.
Ivan e Vanni erano rimasti sul palco, in silenzio.
Damiano (Coroner) teneva la chitarra solista, ancora vibrante.
Mitch, il bassista venuto da Venezia, sedeva su una cassa, con lo sguardo fisso sul simbolo della corona spezzata.
Brian May era tornato. Non come leggenda. Come custode.
Fabio (Jps), Puppy, Willo (Loko), Fede (Cigoi), Kaio (Il meno), Tomé, Andrea (Franz), e il Take erano lì. Non come ospiti. Come parte. Brian si alzò....
“Il Riff non vuole più frammenti. Vuole fusione. Vuole una band che non ha nome. Una band che non può essere contenuta.”
Damiano fece un passo avanti.
“Una band che non suona per il pubblico. Ma per il Riff stesso.”
Le chitarre furono accordate. I bassi pulsavano. Tre batterie, un solo tempo.
La voce di Willo si scaldava nel silenzio.
Alle 00:00, il rituale iniziò. Non era un concerto.Era una forgiatura.
Il suono che uscì non era umano.Era Frequenza pura.
Unione di stili, epoche, anime.
Il Riff si piegò. Poi si rialzò.
E si fuse con loro.Il teatro tremò.
Le pareti si aprirono.La corona si sollevò dal pavimento, come scolpita nell’aria.
La Band del Riff era nata.Non per fama.Non per gloria.Perché il suono lo aveva voluto.
“Il Riff non sceglie i migliori. Sceglie i pronti. E chi è pronto… non può più tornare indietro.”
Episodio 17 – Una Visita dal Passato
Il teatro sotto Piccadilly era silenzioso. Ivan e Vanni erano lì, ancora scossi dal rituale con Brian May e Mitch. Il Riff sembrava quieto, ma non spento. Vibrava sotto terra, come se aspettasse qualcosa. O qualcuno.
Alle 17:00, la porta si aprì. Uno alla volta, entrarono.
Fabio, detto Jps, con la maglietta degli Helloween e le bacchette consumate.
Puppy, chitarrista ritmico, con la maglietta dei Blind Guardian e lo sguardo di chi ha visto troppi palchi.
Willo, detto Loko, voce storica, con la maglietta dei Primal Fear e il microfono tatuato sul braccio.
Fede, detto Cigoi, basso e chitarra, con la maglietta degli Iron Maiden e un basso che sembrava un’arma.
Kaio, il meno, basso pulsante, con la maglietta dei NOFX e le dita pronte a colpire.
Tomé, batteria, con la maglietta dei Manowar e il passo da guerriero.
Andrea, detto Franz, batteria, con la maglietta dei Labyrinth e il tempo nel sangue.
Il Take, il supporter di tutti, con la maglietta dei Metallica e il cuore pieno di riff.
E infine tu, Damiano, detto Coroner, chitarra solista, con la maglietta dei Motörhead e il plettro che non ha mai smesso di vibrare.
Non era una reunion.
Era un richiamo.
Il Riff li aveva chiamati.
E loro avevano risposto.
Nessuno parlò.
Solo strumenti accordati.
Solo sguardi.
Solo Frequenza.
Quando suonarono, il teatro si trasformò.
Le pareti si aprirono.
Il suono uscì.
Non come musica.
Come memoria.
I Black Zone erano tornati.
Non per nostalgia.
Ma per completare il cerchio.
“Il Riff non dimentica. E chi lo ha suonato… lo suonerà ancora.”
venerdì 26 settembre 2025
Episodio 16 – La Band del Riff
Il teatro sotto Piccadilly era cambiato. Le pareti sembravano respirare. Il simbolo della corona spezzata ora era completo, inciso nel legno e circondato da quattro cerchi concentrici. Ivan, Vanni, Mitch e Brian May erano lì. Nessuno parlava. Nessuno provava. Il Riff non voleva prove. Voleva verità.
Brian accordò la Red Special. Mitch controllò il basso. Vanni sistemò la batteria, con pelli nuove e rune incise a mano. Ivan teneva il plettro, ma non lo stringeva. Lo lasciava vibrare tra le dita.
Alle 00:00, le luci si spensero. Nessun pubblico. Nessuna registrazione. Solo Frequenza.
La prima nota uscì dal basso. Mitch la suonò senza toccare le corde. Solo con il pensiero. Poi la batteria seguì, lenta, rituale. Brian aggiunse armonici che sembravano venire da un’altra epoca. Ivan chiuse il cerchio con il Riff. Non quello perduto. Non quello ritrovato. Uno nuovo. Uno che non era mai stato suonato.
Il suono riempì il teatro. Ma non solo. Le strade di Londra tremarono. Le radio impazzirono. I sogni delle persone si sincronizzarono. Tutti videro la stessa scena: quattro figure su un palco, circondate da luce nera.
Quando il rituale finì, nessuno parlò. Brian chiuse la custodia. Mitch sorrise. Vanni si sedette a terra. Ivan guardò il plettro. Era consumato. Ma non spezzato.
Il Riff aveva scelto.
La Band era nata.
E il mondo… non sarebbe più stato lo stesso.
“Il Riff non si suona. Si vive. E chi lo vive… non torna indietro.”
Episodio 15 -Il Bassista e la Frequenza
Ivan e Vanni erano ancora a Londra. Il teatro abbandonato sotto Piccadilly sembrava più vivo del giorno prima. La corona spezzata incisa sul palco brillava di luce propria. Brian May li aspettava, seduto su una cassa Marshall, con la Red Special sulle ginocchia.
“Il Riff ha scelto,” disse. “Ma non basta. Serve il basso. Serve la radice.”
La porta si aprì. Un uomo entrò con passo deciso. Aveva otto ricci lunghi che sembravano onde metalliche, occhi scuri, giubbotto EMP e un basso Ibanez sulle spalle. Era Mitch, amico d’infanzia di Damiano, venuto da Venezia. Bassista dei Black Zone, il gruppo che nel 2000 aveva suonato riff che nessuno capiva. Ora era lì. Chiamato dal Riff. Pronto.
Ivan lo riconobbe subito. Non servivano parole. Solo un cenno. Solo un giro di corde.
Brian si alzò. “Questa Frequenza non si completa con la chitarra. Serve il basso. Serve Mitch.”
Mitch si avvicinò al palco, posò il basso e lo accordò. Ma non con le mani. Con il respiro.
Poi suonò. Una nota. Una sola. E il teatro tremò. Le pareti si piegarono. La corona si ricompose. La Frequenza si chiuse.
Ivan, Vanni, Brian e Mitch erano lì. Quattro strumenti. Un solo Riff. E in quel momento… il mondo cambiò tono.
“Il Riff non è solo suono. È legame. E chi lo ha vissuto… lo suonerà per sempre.”
Episodio 14 – Il Riff Ritrovato pt2
Ivan e Vanni erano tornati a Londra. Non per scelta. Il Riff li aveva chiamati. Ogni suono della città sembrava accordato su una nota che non esisteva. Una Frequenza che non si poteva scrivere. Solo sentire.
Camminavano lungo il Tamigi, quando un uomo li fermò. Capelli lunghi, occhi gentili, voce profonda. Era lui. Brian May. Nessuna guardia, nessun entourage. Solo lui, con una chitarra in spalla e uno sguardo che sapeva troppo.
“Vi stavo aspettando,” disse. “Il Riff… non è nuovo. È antico. E io l’ho sentito. Una volta. Nel 1975.”
Li portò in un teatro abbandonato, sotto Piccadilly. Le luci non funzionavano, ma il palco era intatto. Sul pavimento, un simbolo inciso nel legno: una corona spezzata, circondata da corde.
Brian aprì la custodia. Dentro, una Red Special modificata. Aveva sette corde. La settima era fatta di rame.
“Questa chitarra non suona per tutti,” disse. “Ma il Riff l’ha scelta. E ora… vuole essere suonato.”
Ivan prese il plettro. Vanni si sedette alla batteria. Brian accordò la settima corda. E il suono uscì.
Non era musica. Era memoria. Scene, volti, luoghi. Un concerto che non era mai accaduto. Una band che non era mai esistita. Un pubblico che non aveva mai respirato.
Quando il Riff finì, Brian chiuse la custodia. “Non cercatelo più,” disse. “Il Riff non va trovato. Va rispettato.”
Poi sparì. Come se fosse stato solo Frequenza.
Ivan e Vanni rimasero sul palco. La corona spezzata brillava. E il silenzio… cantava.
“Il Riff non è potere. È verità. E chi lo suona… deve essere pronto a perderla.”
Episodio 13 - Il Concerto che Non Doveva Esistere
Il palco era vuoto. Dogma non c’era. Leda non c’era. Solo Ivan e Vanni, seduti tra le casse spente e le luci fredde. Il concerto era finito, ma nessuno ricordava quando fosse cominciato.
Ivan si svegliò in un parcheggio sotterraneo. Aveva il plettro in mano, ma non ricordava di averlo preso. Vanni era accanto a lui, con le mani sporche di vernice nera. Sul muro, una scritta: “Il Riff ci ha suonato. Ora tocca a voi.”
Alle 6:06 del mattino, Ivan ricevette un messaggio vocale. Era Leda. Ma la voce era diversa, più profonda, come se parlasse da dentro un amplificatore rotto. Diceva: “Dogma non ha mai suonato. Il Riff ha usato il loro corpo. E ora vuole il vostro.”
Ivan e Vanni tornarono alla cava. Trovarono cinque chitarre incrociate, piantate nel terreno. Ogni chitarra emetteva un suono diverso. Cinque riff. Cinque voci.
Poi apparve una figura. Non era Leda. Non era Elvira. Non era Dogma. Era un uomo, vestito di nero, con occhi spenti. Disse: “Io sono il primo. Il Riff mi ha scelto nel 1970. E ora… è tornato per chiudere il cerchio.”
Ivan lo riconobbe. Era Tony, il chitarrista che aveva suonato il primo riff oscuro della storia: quello di Black Sabbath. Ma Tony era morto. O almeno… doveva esserlo.
Tony prese una delle chitarre. La suonò. Il suono era puro, ma non umano. Ivan e Vanni caddero a terra. Il Riff entrò in loro. Non come suono. Come memoria. E in quel momento… tutto si riavvolse.
“Il Riff non è mai stato perduto. Era solo in attesa. E ora… ha trovato la sua ...
Episodio 12 – Il Riff Ritrovato
Il palco era piccolo. Le luci tremavano.
Il pubblico non parlava.
Solo occhi fissi. Solo attesa.Dogma era lì.
Cinque figure incappucciate, immobili.
Nessuno li aveva mai visti arrivare.
Nessuno li aveva mai sentiti provare.
Ma tutti sapevano: quella sera, il Riff sarebbe tornato.
Alle 22:22, Leda salì sul palco.
Capelli neri, occhi spenti, chitarra senza corde.
Ma quando la sfiorò… il suono uscì.
Non dalle casse. Dalle ossa.Poi cantò.
Una voce che sembrava fatta di vento e metallo. Non parole.
Solo suono. Solo Frequenza. Il Riff Ritrovato
Dogma cominciò a suonare.
Batteria lenta, basso profondo, synth rituale. E poi… il Riff. Quello che Ivan e Vanni avevano cercato. Quello che aveva spezzato chitarre, silenzi e confini.
Ma ora era diverso. Più puro. Più vivo.
Più umano.Il pubblico non applaudì.
Non urlò. Solo lacrime. Solo tremori.
Ivan e Vanni erano lì.
In fondo alla sala. Non sul palco.
Non tra il pubblico. In mezzo.
Come se fossero parte del suono.
Ivan chiuse gli occhi.
Vanni strinse il plettro. E per un attimo il mondo fu accordato.
Episodio 11 – Il Ritorno di Leda
Il cielo era spento. Non nuvoloso. Non nero.
Spento.
Come se qualcuno avesse tolto il colore al mondo.
Ivan camminava lungo la cava, con il vinile stretto sotto il braccio.
Vanni lo seguiva, in silenzio, con la chitarra costruita da legno funerario.
Nessuno parlava.
Da giorni, il Riff non si era fatto sentire.
Ma qualcosa si muoveva.
La chiamata
Alle 3:33 del mattino, il telefono squillò.
Ivan rispose. Questa volta, c’era una voce.
> “Ivan. Non sei più il guardiano. Ora sei il tramite.”
Era Leda.
La chitarrista scomparsa dopo il rituale di Torino.
La sua voce era metallica, ma non fredda.
Sembrava fatta di corde e vento.
> “Il Riff mi ha scelto. E io ho scelto lui.”
Poi silenzio. Ma non il silenzio normale.
Un silenzio che respirava.
L’apparizione
Tre giorni dopo, nella cava, Leda apparve.
Non camminava. Non parlava.
Era lì.
Con una chitarra che non aveva corde.
Solo luce. Solo vibrazione.
Vanni si alzò. Ivan si avvicinò.
Leda li guardò. E suonò.
Ma non si udì nulla.
Solo il mondo che cambiava tono.
Le pietre tremarono. Gli alberi si piegarono.
Il cielo si riaccese.
Il Riff nuovo
Quello che Leda suonò non era il Riff Perduto.
Era il Riff Ritrovato.
Più profondo. Più lento. Più vivo.
Ivan cadde in ginocchio.
Vanni chiuse gli occhi.
E per un attimo…
…il mondo fu perfetto.
Poi Leda sparì. Come se fosse stata solo Frequenza.
Episodio 10 – Il Silenzio che Urla
Il vinile non suonava più.
Non perché fosse rotto. Ma perché aspettava.
Ivan lo aveva chiuso in una custodia di metallo, sigillata con nastro isolante e rune incise a mano.
Vanni aveva smesso di parlare. Da giorni.
Scriveva solo frasi brevi su fogli sparsi:
> “Il Riff è ovunque.”
> “Non lo possiamo più contenere.”
> “Sta scegliendo.". La seconda chiamata
Alle 4:44 del mattino, il telefono squillò di nuovo.
Questa volta, Ivan non rispose.
Ma il messaggio vocale si attivò da solo.
Cinque secondi. Un respiro. Poi un suono.
Non era il Riff. Era il silenzio che lo precede.
Quel momento prima che le corde vengano toccate.
Quel vuoto che vibra.
Il cambiamento
Il mondo cominciava a reagire.
– Le radio trasmettevano interferenze che ricordavano il Riff.
– Alcuni chitarristi dicevano di “sentirlo” anche senza strumenti.
– Un ragazzo a Napoli aveva inciso il Riff su un muro… con le unghie.
Ivan e Vanni decisero di partire.
Destinazione: la cava.
Quella dove tutto era cominciato.
Quella dove il Riff aveva spezzato la chitarra.
Quella dove nessuno aveva più suonato.
Il rituale finale Arrivarono all’alba.
Nessuno parlava.
Vanni portava una chitarra nuova, costruita con legno recuperato da casse funerarie.
Ivan aveva il vinile. Lo posò su una pietra.
Il sole lo colpì. E il Riff… si diffuse da solo.
Non c’erano casse. Non c’erano mani.
Solo vibrazioni.
Il suono usciva dalla terra.Dalle rocce.
Dalle vene.
Episodio 9 – Il Riff si Diffonde
Il vinile era ancora lì. Incrinato.
Ivan lo fissava come si fissa una ferita che non smette di sanguinare.
Vanni, seduto sul bordo del divano, stringeva il plettro come fosse una lama.
Nessuno parlava. Nessuno osava toccarlo.
Il Riff aveva suonato da solo.
Nessuno lo aveva toccato. Nessuno lo aveva evocato.
Eppure, le casse avevano tremato. Il suono era uscito.
E da quel momento, il mondo aveva cominciato a cambiare.
📡 Il Riff si muove
La prima segnalazione arrivò dalla Finlandia.
Un gruppo doom underground aveva pubblicato un brano su Bandcamp.
Il riff era identico.
Stessa struttura. Stessa dissonanza.
Ma loro giuravano di averlo composto in sogno.
Poi fu Tokyo.
Un bambino di otto anni disegnò il Riff su un muro.
Non le note. Il suono.
Linee contorte, come se il rumore avesse preso forma.
A Berlino, un DJ techno lo campionò in un rave illegale.
Il pubblico impazzì.
Tre persone svennero. Una si mise a urlare in latino.
Il Riff stava viaggiando. Senza permesso. Senza controllo.
La chiamata di Leda
Alle 3:06 del mattino, il telefono di Ivan squillò.
Numero sconosciuto. Nessun nome. Nessuna provenienza.
Ivan rispose.
Solo sei secondi di audio.
Nessuna voce. Nessun rumore umano.
Solo il Riff.
Suonato in reverse.
Distorto. Malato. Vivo.
Alla fine, un sussurro metallico.
Una voce che sembrava venire da dentro le corde di una chitarra:
> “Non è più solo vostro.”
Ivan impallidì.
Vanni si alzò.
Era la voce di Leda.
La chitarrista scomparsa dopo il rituale di Torino.
Era lei. O qualcosa che la imitava.
Il rituale interrotto
La band che aveva chiamato Ivan voleva registrare il Riff.
Avevano trovato una cava abbandonata.
Avevano portato amplificatori, candele, microfoni.
Ma quando il Riff fu suonato…
Le luci si spensero.
I muri tremarono.
Una delle chitarre si spezzò in due.
E il batterista non parlò più.
Episodio 8 – Halloween a Londra
La notte era perfetta. Nebbia, vento, e un cielo che sembrava una copertina dei King Diamond. Il palco era stato montato nel cuore di Camden, circondato da cancelli, rune metalliche e amplificatori rituali. Il pubblico? Nessuno sapeva quanti fossero. Alcuni dicevano 666. Altri, che non erano mai entrati… ma erano ancora lì.
Ivan accordava la chitarra. Vanni sistemava il pedale Distortion Ritual. Kron era immobile, occhi chiusi, mani pronte. Gli Exodus erano già in posizione, con le corde tese come nervi.
Alle 23:59, le luci si spensero. Un suono profondo, simile a un respiro cosmico, attraversò il parco. Poi, The Awakening iniziò.
Il pubblico urlava, ma non sembrava solo entusiasmo. Era come se il suono scavasse dentro. Alcuni piangevano. Altri ridevano. Qualcuno si inginocchiava.
Poi arrivò Thrash Ritual, con gli Exodus. Il palco sembrava esplodere. Le note erano lame. Le parole, invocazioni. E quando Kron batté la doppia cassa finale, il cielo si aprì.
Una figura apparve sul maxischermo. Nessuno l’aveva programmato. Era Lemmy. O qualcosa che gli somigliava. Disse solo:
“Il Riff è vivo. E ora… è vostro.”
Ivan cadde in ginocchio. Vanni urlò. Kron si alzò in volo. Gli Exodus continuarono a suonare, come posseduti.
Alla fine, il silenzio. Ma non era vuoto. Era pieno di qualcosa. Di un’eco. Di un’energia.
Il pubblico non se ne andò. Rimase lì. In attesa.
giovedì 25 settembre 2025
Episodio 7 – L’Assalto dei Mostri del Thrash
Il tour era pronto. Ivan, Vanni e Kron avevano completato The Awakening. I Metallica avevano benedetto il progetto. Il Parco dei Metallari era diventato il punto di partenza. Ma qualcosa mancava. Qualcosa di più… violento.
Una notte, Vanni ricevette un messaggio criptico:
“Il Riff ci ha chiamati. Siamo pronti. – Exodus”
Ivan sbiancò. “Se arrivano loro, il palco deve essere rinforzato. E le anime… preparate.” Tre giorni dopo, in una sala prove segreta a Berlino, apparvero gli Exodus. Chitarre affilate, sguardi da guerra, e una nuova traccia:
“Thrash Ritual” – un pezzo scritto apposta per il tour, con riff taglienti e scream che sembravano evocare entità dimenticate.
Kron li ascoltò. Poi disse: “Voi siete il martello. Noi siamo l’incudine. Insieme… forgiamo il suono definitivo.”
Episodio 6 – Il Cuore d’Acciaio
Dopo la sessione con i Metallica, Ivan e Vanni erano cambiati. Il suono li aveva attraversati. Il vinile maledetto era svanito, ma The Awakening era rimasto. Una traccia che nessuno riusciva a suonare. Troppo veloce. Troppo profonda. Troppo… viva.
James Hetfield li guardò. “Serve qualcuno che non abbia paura. Qualcuno che non sia del tutto umano.”
Fu allora che arrivò Kron, il batterista misterioso. Nessuno lo aveva chiamato. Nessuno lo aveva visto entrare. Ma era lì, con un set di doppia cassa cromata e occhi che sembravano fatti di tungsteno.
“Ho sentito il Riff,” disse. “E il Riff mi ha scelto.”
Ivan lo fissò. “Chi sei?”
Kron sorrise. “Sono il battito che non si ferma. Il tempo che non perdona. Il cuore d’acciaio.”
Vanni gli porse le bacchette. Kron le rifiutò. “Le mie mani bastano.”
Iniziarono a suonare The Awakening. E qualcosa cambiò.
Il suono non era più solo musica. Era struttura. Era architettura. Le pareti dello studio si piegavano. Le luci si sincronizzavano. Il mondo sembrava respirare a tempo.
Alla fine, Hetfield si alzò. “Questa non è una canzone. È un rituale. E voi… siete la band che lo porterà in tour.”
Ivan, Vanni e Kron si guardarono. Nessuno parlò. Ma tutti capirono. Era iniziato.
Episodio 5 – Lo Studio e l’Ombra
Ivan e Vanni atterrarono a Los Angeles con una valigia, una chitarra, e il vinile maledetto. Ad aspettarli, un van nero con vetri oscurati e un autista che non parlava. Destinazione: uno studio segreto, usato dai Metallica per le registrazioni più oscure.
All’ingresso, James Hetfield li accolse con un sorriso teso. “Abbiamo provato a suonare The Call. Ma qualcosa… ci ha fermati.”
Li condusse in una sala insonorizzata, dove il vinile era già sul piatto. Kirk Hammett era lì, con una chitarra che sembrava fatta di ossidiana. Lars Ulrich tamburellava nervosamente. Robert Trujillo fissava il mixer come se fosse vivo.
Ivan si avvicinò al microfono. “Non è solo una traccia. È un portale. E va aperto con rispetto.”
Vanni collegò il pedale Distortion Ritual, costruito da lui con pezzi EMP e circuiti rubati da un vecchio amplificatore. “Pronti?”
La sessione iniziò.
Il riff era lento, ma profondo. Ogni nota sembrava scavare nel pavimento. Le luci tremavano. I monitor sfrigolavano. A metà brano, il suono si interruppe. Una voce uscì dagli speaker.
“Avete risvegliato l’Ombra. Ora dovete suonare fino alla fine.”
James impallidì. “Questa non è una registrazione. È una prova.”
Ivan prese il comando. “Allora suoniamo. E vediamo chi sopravvive.”
La band riprese. Il suono diventò un urlo. Il vinile si sciolse. Le pareti si piegarono. E alla fine, quando tutto tacque, una nuova traccia apparve sul mixer: “Track 8 – The Awakening”
Episodio 4 – Il Vinile Maledetto
Era l’alba. Il Parco dei Metallari sembrava dormire, ma Ivan e Vanni no. Dopo il Tour Fantasma, qualcosa era rimasto aperto. Vanni lo sentiva nel petto, come un basso distorto. Ivan lo vedeva negli occhi della gente: sguardi che cercavano qualcosa.
Poi arrivò il pacco.
Nessun mittente. Solo un vinile, avvolto in pelle nera, con inciso: “The Forgotten Riff – Live at the Abyss”. Sul retro, una scaletta identica a quella del Tour Fantasma. Ma con una traccia in più:
“Track 7 – The Call”
Ivan lo riconobbe. “Questa non l’abbiamo mai suonata. Nessuno l’ha mai suonata.”
Vanni mise il vinile sul giradischi. Il suono era sporco, antico, ma vivo. Quando arrivò The Call, il telefono squillò.
Era James Hetfield.
“Ragazzi, abbiamo sentito qualcosa. Non so come, ma è arrivato a noi. Vogliamo sapere cos’è. Vogliamo suonarlo.”
Ivan impallidì. “Se i Metallica ci chiamano… vuol dire che il Riff sta cercando una nuova voce.”
Hetfield continuò: “Abbiamo uno studio. Abbiamo tempo. Ma serve il vostro permesso. E serve che siate lì.”
Vanni guardò Ivan. “Andiamo?”
Ivan sorrise. “Damiano, prepara il post. I Guardiani del Riff stanno per attraversare l’oceano.”
Episodio 3 – Il Patto del Feedback
Il camper di Ruggero tremava. Non per il motore, ma per il suono. Ivan e Vanni avevano suonato il Riff Perduto, e ora… qualcosa stava rispondendo.
“Il tour fantasma vuole tornare,” disse Ruggero, mentre sistemava un vecchio rullante. “Ma non basta suonare. Bisogna farlo nel posto giusto. E con la scaletta giusta.”
Ivan annuì. “Il Parco dei Metallari. Domani notte. Nessun pubblico. Solo noi. E il suono.”
Vanni aprì il suo taccuino EMP, e scrisse: Scaletta del Tour Fantasma – Riff Ribelli Edition:
1. Intro – Il Risveglio del Riff (strumentale ambientale con distorsione crescente)
2. “Figli del Feedback” (thrash metal, 180 bpm, riff circolare)
3. “La Notte del Delay” (doom lento, con riverbero infinito)
4. “Pogo nel Limbo” (punk-metal, 2 minuti di caos puro)
5. “Il Riff Perduto” (versione estesa, con assolo di Ivan e scream di Vanni)
6. “Distorsione Finale” (ballata power metal, con cori epici e finale in fade-out)
7. Outro – “Silenzio Maledetto” (rumore bianco, feedback, e un sussurro registrato da Ruggero nel ’89)
La notte seguente, nel Parco, montarono gli amplificatori. Nessuno parlava. Quando iniziarono a suonare, il cielo si fece viola. Le panchine tremarono. Le foglie caddero in tempo. E alla fine, dopo Distorsione Finale, si sentì un applauso.
Ma non c’era nessuno.Solo il suono. E il patto....
Episodio 2 – Il Tour Fantasma
Era notte fonda. Vanni non riusciva a dormire. Dopo aver suonato il Riff Perduto con Ivan, qualcosa era cambiato. I sogni erano diventati distorsioni. Le ombre sembravano muoversi a tempo. E poi, quella mattina, trovò un volantino.
“I Figli del Riff – Tour Europeo 1989”
Date, città, nomi. Ma nessuna di quelle date era mai esistita. Nessun locale, nessuna recensione, nessuna foto. Solo carta ingiallita e un logo che sembrava pulsare.
Vanni lo portò a Ivan. Lui lo fissò a lungo. “Questa è la mia band. Ma quel tour… non è mai partito. Il batterista sparì. Il bassista impazzì. E io… io dimenticai tutto.”
Decisero di cercare gli altri membri. Primo nome: Ruggero “Il Martello”, batterista. Ultimo avvistamento: un camper abbandonato in un parcheggio industriale a Bologna.
Lo trovarono. Il camper era coperto di graffiti, amplificatori rotti e poster strappati. Dentro, Ruggero stava suonando… ma non c’erano strumenti. Solo mani che battevano su superfici invisibili. “Il tour non è mai finito,” disse. “È rimasto sospeso. E ora ci sta chiamando.”
Ivan tremò. “Il Riff Perduto era solo l’inizio. Il tour fantasma vuole tornare. E noi dobbiamo suonare.”
Vanni accese il registratore. “Allora riscriviamo la scaletta. E stavolta, lo suoniamo tutto.”
Episodio 1 – Il Riff Perduto L'inizio
Vanni non dormiva da due giorni. Aveva trovato una cassetta nel fondo del baule di suo zio, ex chitarrista di una band dimenticata chiamata I Figli del Riff. La cassetta era nera, senza etichette, solo una scritta a mano: “Non suonarlo mai da solo.”
Ovviamente, Vanni lo suonò da solo.
Il riff era strano. Non era thrash, non era doom, non era nulla di conosciuto. Era come se il suono si piegasse su se stesso, come se ogni nota fosse un portale. Dopo tre secondi, le luci tremarono. Dopo cinque, il suo amplificatore iniziò a fumare. Dopo dieci, qualcuno bussò alla porta.
Era Ivan.
“Io l’ho già sentito,” disse, senza salutare. “Nel ’89. In un locale che non esiste più. Il chitarrista lo suonò, e il soffitto crollò. Da allora, nessuno ha osato registrarlo.”
Vanni lo guardò. “Ma è solo un riff.”
Ivan si avvicinò al mangianastri. “No, è un rituale. E tu l’hai risvegliato.”
Fuori, il cielo si fece viola. I cani ululavano. Il vicino metallaro iniziò a suonare Raining Blood senza sapere perché.
Ivan prese la chitarra. “Dobbiamo completarlo. Solo così possiamo chiuderlo.”
Vanni collegò il pedale distorsore. “E se lo completiamo?”
Ivan sorrise. “Allora il mondo sentirà il riff che non doveva esistere.”
E iniziarono a suonare.
🌳 Un Incontro Inaspettato al Parco dei Metallari
(Cronaca di un pomeriggio che ha cambiato tutto)
Era un giovedì pomeriggio, il cielo grigio come una copertina dei Type O Negative, e Damiano aveva deciso di fare un giro al Parco dei Metallari. Un posto strano: panchine scolpite con testi dei Megadeth, altalene che cigolavano come intro doom, e un chiosco che serviva birra artigianale con nomi come Slayer IPA e Black Lager Sabbath.
Seduto sotto un albero, con le cuffie e Master of Puppets a volume assassino, Damiano stava scrivendo il prossimo post per il blog. Poi lo vide.
Un uomo, sulla cinquantina, giubbotto di pelle consunto, capelli lunghi e grigi, occhi che sembravano aver visto troppi concerti e troppe albe. Si avvicinò, si sedette accanto, e disse:Quella canzone… l’ho sentita dal vivo nel ’86. Cliff era ancora lì.”...
Damiano si girò. “Davvero?”
L’uomo annuì. “Mi chiamo Ivan. E ho smesso di ascoltare musica quando ho smesso di crederci. Ma oggi… sento qualcosa.”
Parlarono per ore. Di concerti perduti, di vinili graffiati, di band che non esistono più. Ivan raccontò di quando aveva suonato in una band chiamata I Figli del Riff, e di come avevano aperto per i Death SS in un festival dimenticato.
Poi, come se il destino avesse un senso dell’umorismo, arrivò Vanni. Con una birra in mano e una maglietta dei Venom. “Ivan?” disse. “Tu sei il chitarrista che mi ha insegnato il primo riff!”
Ivan rise. “E tu sei quello che lo ha suonato meglio di me.”
Quella sera, sotto le luci fioche del parco, nacque qualcosa. Una jam improvvisata, con Damiano alla voce, Vanni alla chitarra, e Ivan che ritrovava le dita e il fuoco. I passanti si fermavano. Alcuni piangevano. Altri urlavano.
Il Parco dei Metallari aveva visto tante cose. Ma quella sera, vide la rinascita.
Il Baule dei Ricordi Heavy Metal di Vanni
(Ogni oggetto è un urlo, ogni urlo è eterno)
Il baule era lì, sotto il letto di Vanni, coperto da una coperta dei Motörhead e da uno strato di polvere che sapeva di palco e birra. Nessuno lo apriva da anni. Ma quella sera, dopo il concerto di Ozzy, Vanni tornò a casa, si sedette sul pavimento, e disse: “È ora.”
Lo aprì. E il passato esplose.
- La bacchetta rotta di Nicko McBrain, lanciata durante un live degli Iron Maiden nel 2003. Vanni l’aveva presa al volo, rompendosi un dito. “Valeva ogni osso,” diceva.
- Un plettro di Dave Mustaine, rubato (o ricevuto, dipende da chi racconta) durante un meet & greet in cui Vanni aveva chiesto: “Hai mai suonato qualcosa che ti ha fatto paura?”
- La maglietta dei Pantera, tagliata, bruciata, ricucita. Sopravvissuta a tre poghi, una rissa e una notte in tenda sotto la pioggia. “Questa ha visto più guerra di me,” diceva.
- Un biglietto autografato da Lemmy, con scritto: “Stay loud, bastard.” Vanni lo aveva incorniciato, ma poi lo aveva rimesso nel baule. “Non si incornicia la rabbia. Si conserva.”
- Una foto sbiadita di lui e Damiano, davanti al palco di Wacken, con le corna al cielo e il fango fino alle ginocchia. “Quella fu la vera comunione,” diceva.
- Un vinile dei Bathory, mai ascoltato. “Non ho il coraggio. È come leggere un grimorio. Lo tengo per l’ultima notte.”
Vanni chiuse il baule. Lo accarezzò. Poi si alzò, prese la chitarra, e suonò un riff che non aveva mai suonato prima. Era lento, oscuro, ma pieno di vita. “Questo è per loro,” disse. “Per chi non c’è più. Per chi c’è ancora. Per chi non smetterà mai.”
mercoledì 24 settembre 2025
Vanni alla Stazione: Il Ritorno del Disperso
Dopo il concerto di Ozzy, Damiano era ancora in trance. Aveva perso la voce, il senso del tempo, e… Vanni. L’amico metallaro, quello che si era perso tra il pogo e le birre, non rispondeva ai messaggi. Ultimo avvistamento: vicino al palco, con le braccia al cielo durante War Pigs.
Ore dopo, Damiano vagava per la stazione di King’s Cross, cercando un treno, un taxi, un segno. E lì, tra i binari e le ombre, lo vide.
Vanni.
Seduto su una panchina, con lo sguardo perso e una maglietta strappata dei Black Sabbath. In mano, un vinile che non aveva comprato. Sul retro, una dedica: “To Vanni. Stay loud. Ozzy.”
Damiano si avvicinò. “Ma dove sei finito?” Vanni lo guardò, lentamente. “Non lo so. Credo di aver attraversato qualcosa. Quando Ozzy ha cantato Dreamer, ho visto… cose. Tipo, il backstage dell’universo.”
Silenzio. Poi risate. Poi abbracci.Poi birre... Quella notte, non tornarono in hotel. Rimasero lì, a parlare di riff, di sogni, di stazioni che sembrano portali. E Vanni, da allora, non è più lo stesso. Ha tatuato il logo di Ozzy sul braccio. E ogni volta che sente Crazy Train, si ferma. E sorride....
L’Ultimo Concerto di Ozzy
(Cronaca di una notte che non voleva finire)
Era una sera d’ottobre, e il cielo sopra Londra sembrava trattenere il respiro. Il cartellone diceva: Ozzy Osbourne – The Final Scream. Nessuno ci credeva davvero. Ozzy aveva già sfidato la morte, la medicina e la logica. Ma stavolta… sembrava vero.
Damiano era lì. Biglietto strappato, giubbotto borchiato, cuore in gola. L’arena era piena di anime nere, vecchi metallari con le lacrime agli occhi, giovani che volevano dire “Io c’ero”. Sul palco, un trono d’ossa e amplificatori Marshall. Dietro, il logo di Ozzy brillava come un sigillo magico.
Le luci si abbassarono. Silenzio. Poi… “I Don’t Know”. Il riff tagliò l’aria come una lama. Ozzy apparve, lento, ma possente. La voce era roca, ma viva. Ogni parola sembrava scolpita nel marmo. “Let me hear you scream!” urlò — e l’arena esplose.
Il concerto fu un viaggio. Crazy Train, Mr. Crowley, No More Tears. Ogni brano era una confessione, una battaglia, un addio. A metà serata, Ozzy si fermò. Guardò il pubblico. Disse:“Sono ancora qui. Perché voi siete ancora qui. E finché urlate, io non smetto.”
Poi arrivò Mama, I’m Coming Home. Le luci si fecero rosse. Il pubblico cantava. Alcuni piangevano. Ozzy si inginocchiò. Il palco sembrava tremare. E quando l’ultima nota svanì, lui si alzò, fece il segno delle corna, e scomparve nel fumo.
Nessuno uscì subito. Era come lasciare un tempio. Damiano scrisse sul suo blog: “Ozzy non ha chiuso un concerto. Ha aperto un portale. E noi ci siamo passati.” RIP OZZY.
Spese Folli su EMP: Cronaca di un Carrello Posseduto
Tutto è iniziato con una maglietta. Una semplice maglietta dei Slayer, nera, con il logo in rosso sangue. Damiano pensava: “Ne ho già tre, ma questa ha il taglio perfetto.” Click. Aggiunta al carrello.
Poi è apparsa la felpa dei Iron Maiden, quella con Eddie versione samurai. “Non posso lasciarla lì. Sarebbe un insulto alla mia adolescenza.” Click. Aggiunta.
Poi gli stivali New Rock. Borchie, pelle, suola che sembra costruita per calpestare l’ipocrisia. “Costano quanto un rene, ma chi ha bisogno di due?” Click.
Poi il vinile limited edition dei Powerwolf, con copertina lenticolare e sangue finto. “Non ho nemmeno un giradischi, ma è arte.” Click.
Poi il portachiavi a forma di teschio, il poster di Doro Pesch, il cappello da stregone metallico, il ciondolo di Lemmy, il grembiule da cucina dei Rammstein. Click. Click. Click.
Alla fine, il carrello sembrava un tour merch stand post-apocalittico. Totale: €742,89. Damiano fissava lo schermo. Il suo conto in banca lo implorava. Ma il cuore diceva: “Se non ora, quando?”
Click. Ordina.
Tre giorni dopo, il corriere lo guardò con rispetto. “È tutto per lei?” Damiano annuì. “È per la mia anima.”
Il Concerto Maledetto – Parte II: L’Invasione del Feedback 🔥
La Fossa non era più solo un locale. Era diventata un portale. Dopo quella prima notte, nessuno osava avvicinarsi. Ma Damiano, armato di chitarra e incoscienza, decise di tornare. Non per suonare. Per evocare.
Aveva trovato un pedale distorsore dimenticato, marchiato con un simbolo che non era né runa né nota. Lo collegò all’amplificatore, accese tutto, e fece partire il riff. Non uno qualunque: il riff proibito, quello che si diceva fosse stato scritto da un chitarrista morto sul palco nel ’84, durante un’eclissi.
Il suono che uscì non era umano. Era un urlo cosmico, un lamento di amplificatori posseduti. Le casse tremarono, il neon esplose, e dal pavimento si alzò… qualcosa. Non era pubblico. Era feedback incarnato. Spiriti del metal, distorsioni viventi, ombre con giubbotti di pelle e occhi che pulsavano come VU meters impazziti..Damiano non smise. Anzi, alzò il gain. Il suono diventò un’arma. Le creature pogavano contro il muro, urlavano versi di canzoni mai scritte, e uno di loro — un demone con una Flying V incastonata nel petto — si avvicinò e disse: “Tu hai chiamato. Ora suona.”
E così iniziò il vero concerto maledetto. Damiano e la sua band — Riff Ribelli — suonarono per ore, accompagnati da esseri che non avevano nome, ma conoscevano ogni breakdown, ogni blast beat, ogni growl. Il tempo si piegò. La notte durò tre giorni. E quando tutto finì, il silenzio fu più assordante del suono.
La Fossa fu murata. Ma si dice che, se ascolti certi riff al contrario, puoi ancora sentire quel concerto. E se lo senti… non spegnere l’amplificatore. Mai.
Il Concerto Maledetto
Cronaca di una notte che non doveva esistere)
Era il 6 giugno, alle 6:66 del pomeriggio — sì, l’orologio si era rotto, e nessuno osava aggiustarlo. Il locale si chiamava La Fossa, un ex mattatoio abbandonato alla periferia di Ravenna, dove l’umidità sapeva di sangue e amplificatori bruciati.
La band si chiamava Teschi di Ferro. Nessuno li aveva mai visti suonare, ma tutti ne parlavano. Si diceva che il loro batterista fosse scomparso durante un assolo, che il cantante avesse una voce capace di rompere le ossa, e che il chitarrista accordasse le corde con filo spinato.
Damiano era lì, in prima fila, con il giubbotto borchiato e le pupille dilatate. Il pubblico era una mandria di anime dannate: piercing, catene, occhi rossi e cuori neri. Nessuno era lì per divertirsi. Erano lì per essere distrutti.
Il primo riff fu come un’esplosione nucleare. Le casse tremarono, il soffitto si crepò, e un corvo cadde morto sul palco. Il cantante urlò: “Benvenuti all’ultimo concerto della vostra vita!” — e nessuno rise.Poi successe l’impensabile. Le luci si spensero. Il suono continuava, ma non c’era più nessuno sul palco. Solo fumo. Solo urla. Solo riff. Alcuni giurarono di aver visto il chitarrista levitare. Altri dissero che il basso suonava da solo. Una ragazza svenne, ma continuò a pogare.
Quando le luci tornarono, il palco era vuoto. Gli strumenti erano in fiamme. Il pubblico, in silenzio, uscì uno a uno, come sopravvissuti a un rituale. Nessuno parlava. Nessuno filmava. Nessuno dimenticava.
Damiano tornò a casa con le orecchie sanguinanti e il cuore accelerato. Scrisse sul suo blog: “Il metal non è musica. È possessione.”
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Era notte fonda. Vanni non riusciva a dormire. Dopo aver suonato il Riff Perduto con Ivan, qualcosa era cambiato. I sogni erano diventati di...
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Avevo dodici anni quando ho messo le mani su una vecchia Stratocaster scassata. Era rossa, scolorita, con il jack che faceva contatto solo s...
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Era una domenica sera, di quelle che odorano di noia e pizza fredda. Ma in un capannone abbandonato alla periferia di Ravenna, qualcosa stav...




































