Il vinile non suonava più.
Non perché fosse rotto. Ma perché aspettava.
Ivan lo aveva chiuso in una custodia di metallo, sigillata con nastro isolante e rune incise a mano.
Vanni aveva smesso di parlare. Da giorni.
Scriveva solo frasi brevi su fogli sparsi:
> “Il Riff è ovunque.”
> “Non lo possiamo più contenere.”
> “Sta scegliendo.". La seconda chiamata
Alle 4:44 del mattino, il telefono squillò di nuovo.
Questa volta, Ivan non rispose.
Ma il messaggio vocale si attivò da solo.
Cinque secondi. Un respiro. Poi un suono.
Non era il Riff. Era il silenzio che lo precede.
Quel momento prima che le corde vengano toccate.
Quel vuoto che vibra.
Il cambiamento
Il mondo cominciava a reagire.
– Le radio trasmettevano interferenze che ricordavano il Riff.
– Alcuni chitarristi dicevano di “sentirlo” anche senza strumenti.
– Un ragazzo a Napoli aveva inciso il Riff su un muro… con le unghie.
Ivan e Vanni decisero di partire.
Destinazione: la cava.
Quella dove tutto era cominciato.
Quella dove il Riff aveva spezzato la chitarra.
Quella dove nessuno aveva più suonato.
Il rituale finale Arrivarono all’alba.
Nessuno parlava.
Vanni portava una chitarra nuova, costruita con legno recuperato da casse funerarie.
Ivan aveva il vinile. Lo posò su una pietra.
Il sole lo colpì. E il Riff… si diffuse da solo.
Non c’erano casse. Non c’erano mani.
Solo vibrazioni.
Il suono usciva dalla terra.Dalle rocce.
Dalle vene.

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