Il vinile era ancora lì. Incrinato.
Ivan lo fissava come si fissa una ferita che non smette di sanguinare.
Vanni, seduto sul bordo del divano, stringeva il plettro come fosse una lama.
Nessuno parlava. Nessuno osava toccarlo.
Il Riff aveva suonato da solo.
Nessuno lo aveva toccato. Nessuno lo aveva evocato.
Eppure, le casse avevano tremato. Il suono era uscito.
E da quel momento, il mondo aveva cominciato a cambiare.
📡 Il Riff si muove
La prima segnalazione arrivò dalla Finlandia.
Un gruppo doom underground aveva pubblicato un brano su Bandcamp.
Il riff era identico.
Stessa struttura. Stessa dissonanza.
Ma loro giuravano di averlo composto in sogno.
Poi fu Tokyo.
Un bambino di otto anni disegnò il Riff su un muro.
Non le note. Il suono.
Linee contorte, come se il rumore avesse preso forma.
A Berlino, un DJ techno lo campionò in un rave illegale.
Il pubblico impazzì.
Tre persone svennero. Una si mise a urlare in latino.
Il Riff stava viaggiando. Senza permesso. Senza controllo.
La chiamata di Leda
Alle 3:06 del mattino, il telefono di Ivan squillò.
Numero sconosciuto. Nessun nome. Nessuna provenienza.
Ivan rispose.
Solo sei secondi di audio.
Nessuna voce. Nessun rumore umano.
Solo il Riff.
Suonato in reverse.
Distorto. Malato. Vivo.
Alla fine, un sussurro metallico.
Una voce che sembrava venire da dentro le corde di una chitarra:
> “Non è più solo vostro.”
Ivan impallidì.
Vanni si alzò.
Era la voce di Leda.
La chitarrista scomparsa dopo il rituale di Torino.
Era lei. O qualcosa che la imitava.
Il rituale interrotto
La band che aveva chiamato Ivan voleva registrare il Riff.
Avevano trovato una cava abbandonata.
Avevano portato amplificatori, candele, microfoni.
Ma quando il Riff fu suonato…
Le luci si spensero.
I muri tremarono.
Una delle chitarre si spezzò in due.
E il batterista non parlò più.

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