Ivan e Vanni erano ancora a Londra. Il teatro abbandonato sotto Piccadilly sembrava più vivo del giorno prima. La corona spezzata incisa sul palco brillava di luce propria. Brian May li aspettava, seduto su una cassa Marshall, con la Red Special sulle ginocchia.
“Il Riff ha scelto,” disse. “Ma non basta. Serve il basso. Serve la radice.”
La porta si aprì. Un uomo entrò con passo deciso. Aveva otto ricci lunghi che sembravano onde metalliche, occhi scuri, giubbotto EMP e un basso Ibanez sulle spalle. Era Mitch, amico d’infanzia di Damiano, venuto da Venezia. Bassista dei Black Zone, il gruppo che nel 2000 aveva suonato riff che nessuno capiva. Ora era lì. Chiamato dal Riff. Pronto.
Ivan lo riconobbe subito. Non servivano parole. Solo un cenno. Solo un giro di corde.
Brian si alzò. “Questa Frequenza non si completa con la chitarra. Serve il basso. Serve Mitch.”
Mitch si avvicinò al palco, posò il basso e lo accordò. Ma non con le mani. Con il respiro.
Poi suonò. Una nota. Una sola. E il teatro tremò. Le pareti si piegarono. La corona si ricompose. La Frequenza si chiuse.
Ivan, Vanni, Brian e Mitch erano lì. Quattro strumenti. Un solo Riff. E in quel momento… il mondo cambiò tono.
“Il Riff non è solo suono. È legame. E chi lo ha vissuto… lo suonerà per sempre.”

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