(Ogni oggetto è un urlo, ogni urlo è eterno)
Il baule era lì, sotto il letto di Vanni, coperto da una coperta dei Motörhead e da uno strato di polvere che sapeva di palco e birra. Nessuno lo apriva da anni. Ma quella sera, dopo il concerto di Ozzy, Vanni tornò a casa, si sedette sul pavimento, e disse: “È ora.”
Lo aprì. E il passato esplose.
- La bacchetta rotta di Nicko McBrain, lanciata durante un live degli Iron Maiden nel 2003. Vanni l’aveva presa al volo, rompendosi un dito. “Valeva ogni osso,” diceva.
- Un plettro di Dave Mustaine, rubato (o ricevuto, dipende da chi racconta) durante un meet & greet in cui Vanni aveva chiesto: “Hai mai suonato qualcosa che ti ha fatto paura?”
- La maglietta dei Pantera, tagliata, bruciata, ricucita. Sopravvissuta a tre poghi, una rissa e una notte in tenda sotto la pioggia. “Questa ha visto più guerra di me,” diceva.
- Un biglietto autografato da Lemmy, con scritto: “Stay loud, bastard.” Vanni lo aveva incorniciato, ma poi lo aveva rimesso nel baule. “Non si incornicia la rabbia. Si conserva.”
- Una foto sbiadita di lui e Damiano, davanti al palco di Wacken, con le corna al cielo e il fango fino alle ginocchia. “Quella fu la vera comunione,” diceva.
- Un vinile dei Bathory, mai ascoltato. “Non ho il coraggio. È come leggere un grimorio. Lo tengo per l’ultima notte.”
Vanni chiuse il baule. Lo accarezzò. Poi si alzò, prese la chitarra, e suonò un riff che non aveva mai suonato prima. Era lento, oscuro, ma pieno di vita. “Questo è per loro,” disse. “Per chi non c’è più. Per chi c’è ancora. Per chi non smetterà mai.”

Nessun commento:
Posta un commento